giovedì 24 febbraio 2011

I bimbi e il tg

La profe: - Hai presente quando al tg dicono...
G (10 anni, piglio deciso): - No, io non lo guardo il tg
La profe: - Ok, ma avrai sentito dire qualche volta che...
G (piglio ancora più deciso): - Nooooo, io il tg non lo guardo. La maestra vuole che lo guardiamo, ma mamma dice che poi mi spavento e mi intristisco e allora quando siamo a tavola se inizia il telegiornale cambia subito canale.

Ecco, parliamone: quando avevo 10 anni e tutti all'ora di cena guardavano I Ragazzi della III C io ricordo che il tg me lo dovevo calare a forza, perché per nessun motivo a tavola si poteva guardare qualcos'altro mentre c'era la possibilità di vedere anche solo un minuto di un qualsiasi tg. Sono diventata triste e spaventata nella misura in cui anche anche i miei coetanei che guardavano I Ragazzi della III C lo sono diventati. Per me e per loro ci sono state le stesse possibilità che ci cadessero in testa le Torri Gemelle, che ci rapissero e spedissero a casa un orecchio, che ci bucassimo, che diventassimo parte delle "stragi del sabato sera". Eppure, continuo a non capire cosa mi sfugge (e mi turba) nell'enunciato candido (e un po' rabbioso: forse lei lo vorrebbe vedere, il tg?) della piccola G. Il bisogno che adesso la maestra debba assegnare come compitino la visione del tg, giusto per iniziare a capire da che parte del globo viviamo? Il terrore della mamma che cambia canale precipitosamente affinché davanti agli occhi della bimba non scorra davanti neanche un'immagine spiacevole? Non so, non so. L'infanzia è un groviglio, e chi se ne occupa spesso di aggroviglia...

domenica 20 febbraio 2011

Massimo Gramellini agli insegnanti

Vale per i giornalisti un insegnamento che sono certo rivolgerete spesso ai vostri studenti. A me lo impartì un grande intellettuale scomparso all'inizio del 2010, Beniamino Placido. "Il bravo giornalista è quello che sa scrivere in modo pesante le cose leggere e in modo leggero le cose pesanti." Già. Perché anche un pettegolezzo di vip può contenere una grande lezione di vita. Così come un arido tabulato del Ministero dell'Economia e delle Finanze può essere tradotto in una narrazione avvincente. Scusate se insisto su questo punto, ma spesso è proprio a scuola che ci convinciamo dell'idea, sbagliatissima, che le cose serie debbono essere per forza trattate in modo noioso e che il sorriso, la leggerezza, l'anticonformismo tolgano autorevolezza e prestigio a chi ne fa uso. Sarebbe bello, invece, se fin dai banchi del liceo si imparasse a leggere e scrivere con levità, così da associare lo studio e l'informazione all'idea di un piacere. D'altronde il bravo insegnante e il bravo giornalista sono tali proprio perché riescono a rendere appassionanti le cose difficili. Io non ricordo i libri di testo della mia adolescenza, ma non ho mai dimenticato chi me li seppe illustrare in un certo modo. Così come ricordo il giornalista che ha saputo guidarmi dentro mondi a me ignoti e meritarsi la mia fiducia. Troppo spesso chi tiene in mano i cordoni della borsa si dimentica che la scuola e il giornale non sono fatti di numeri, ma di persone. Un buon liceo e un buon quotidiano dipendono anzitutto dalla qualità e dall'umanità di chi vi lavora ogni giorno.
                                       Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa 
da Il quotidiano in classe, La nuova Italia.